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"Una mente bella vive in un mondo bello"

STRESS DA TELEVISIONE

IL TELESCHERMO DI ORWELL

A volte gli scrittori sono dei visionari: immaginano scenari fantastici ma vi inseriscono elementi frutto della loro meticolosa analisi dell’animo umano, della società o della scienza. Il risultato a volte stupisce per le analogie con il presente che, all’epoca in cui fu scritto un certo romanzo, era solo ipotetico futuro.

È il caso di “1984”, romanzo di George Orwell scritto nel 1948. Non è mia intenzione analizzare qui l’opera di Orwell alla luce del nostro presente ma, tuttavia, limitarmi a sottolineare un unico dettaglio, sebbene assolutamente determinante. Nel romanzo 1984 fa la sua comparsa il “teleschermo” quale occhio vigile del “Grande Fratello”, simbolo iconico di un regime totalitario. Cosa c’è di nuovo, che l’autore immagina, rispetto ad un normale schermo televisivo già diffuso tra la popolazione delle grandi città negli anni ‘50?

L’idea di Orwell è che il “teleschermo” avesse come funzione principale non la diffusione delle notizie ma il controllo della popolazione. Ciò, nel romanzo, avviene in due modi: trasmissione martellante di messaggi di propaganda e possibilità di bidirezionalità, ovvero lo schermo è in grado di “vedere” il telespettatore, entrando così nella sua vita privata.

Non è difficile ravvisare nel telefono cellulare un qualcosa di simile, coadiuvato a sua volta dalla televisione. I social poi fanno il resto, invitando l’utente a raccontare di sé e a fornire dati sulle sue attività e sul suo pensiero.

IRRINUNCIABILE GUSTO DELL’ORRIDO

Esiste una storia, nota a tutti, in cui un uomo e una donna si trovano in un luogo meraviglioso dove non ci sono difficoltà e problemi ma dove non è permessa la cosa più preziosa per ogni essere umano: l’espressione del libero arbitrio.

Decidere è il senso più profondo dell’identità. Nel momento in cui essi trasgrediscono al divieto, nasce l’identità individuale e cessa il nulla eterno e quindi l’assenza del tempo. Il tempo che scorre significa vita e poi morte.

È a questo punto che la corruttibilità del corpo fa la sua comparsa e, in un certo senso, la morte certifica l’autenticità della vita. Quindi vita e morte sono indissolubilmente legati. Fin dai tempi di Freud è noto che l’essere umano è perversamente attratto dalle immagini della morte e dalle sue rappresentazioni artistiche e simboliche. Ciò sembra abbia una funzione catartica, in grado di esorcizzare la paura della morte, proprio nel momento in cui si crea un punto di contatto tra i due opposti. Nelle religioni e nelle rappresentazioni artistiche di tutti i popoli del mondo esiste questa ambivalenza, per cui vengono avvicinati gli opposti: dolore e piacere, bello e orribile, vita e morte. Secondo alcuni antropologi in questo modo lo spettatore si avvicina all’inaccessibilità divina proprio attraverso la raffigurazione dell’orribile. Ne è un esempio il culto del sole negli Aztechi: il sole dà la vita ma può anche toglierla. La sua ambivalenza è specchio dell’antinomia spirituale: la divinità è una presenza totale che è un’assenza senza fine (cit). (http://www.filosofia.unimi.it/itinera/mat/saggi/?ssectitle=Saggi&authorid=addoloratoa&docid=diessi&format=html)

Questa breve lettura filosofica può spiegarci bene perché l’essere umano è attratto dalle rappresentazioni spaventose. Gli autori televisivi questo lo sanno e quindi infarciscono i loro programmi di notizie negative e, se possibile, orribili, consapevoli che la battaglia degli ascolti si combatte a colpi di orrido.

LA TELEVISIONE MOLESTA

Ma quali sono gli effetti di tutto questo? Non dobbiamo trascurare che l’esposizione ad un continuo ripetersi di messaggi angoscianti induce nello spettatore alti livelli di stress. In uno dei tanti esperimenti sull’induzione di stress un topolino ed un gatto furono messi nella medesima gabbia ma separati da una parete trasparente. Sebbene il gatto non potesse raggiungere fisicamente il topo, quest’ultimo sviluppò in breve tempo sintomi di ansia e stress patologico. Quindi: gli autori televisivi utilizzano la naturale curiosità verso l’orrido per attirare pubblico. Quest’ultimo però finisce per subire le conseguenze del continuo martellamento mediatico con notizie negative.

EFFETTO MAQUETTE

Ricordate il film “The Truman show”?

Il protagonista vive una vita che crede reale, in una casa reale, in una città reale. Invece si tratta di un grande set cine-televisivo dove la realtà è ricostruita rimpicciolita e semplificata, ad uso delle esigenze televisive del grande show di cui lui è inconsapevole protagonista.

Bene, la cosa non è molto diversa se parliamo della rappresentazione del mondo che la televisione offre ai suoi spettatori. Ci sono ricerche nel campo della psicologia che evidenziano come la rappresentazione della realtà offerta dalla televisione sia una maquette, cioè un “modello” semplificato e distorto ma che lo spettatore crede sia fedele alla realtà. Anzi dovremmo dire che per lo spettatore la realtà è esclusivamente quella!

Durante le innumerevoli ore di trasmissioni, dai telegiornali ai programmi cosiddetti “di approfondimento”, i concetti fondanti la maquette vengono presentati in molti modi diversi ma restano sempre gli stessi. La loro continua ridondanza certifica un’apparente veridicità. Lo spettatore non si rende più conto che i suoi orizzonti sono quelli della maquette a cui la realtà vera ormai fa solo da sfondo. Lo stesso confronto politico o giornalistico, oppure il confronto che gli spettatori possono avere tra di loro sui social, non aggiunge nulla di nuovo alle conoscenze di ciascuno poiché si basa sulla medesima ristrettezza degli elementi di partenza. In altri termini non si discute di una realtà ampia, ma si discute solo degli elementi presenti nella maquette

Anche questo artificio è costruito ad hoc dagli autori televisivi basandosi sul bisogno della mente di semplificare la complessità. Così la maquette fornisce una realtà semplice, riconoscibile, con personaggi chiari, come quelli dei teleromanzi.

CHI CONTROLLA IL CONTROLLORE?

Ed ecco giungere il protagonista, soggetto e oggetto di tutta questa complessa macchina: la persona che guarda ciò che il teleschermo propone.

Tutti noi corriamo lo stesso rischio: di fronte alle notizie angoscianti proposte dai telegiornali cadiamo nell’illusione di poter fare un’analisi obiettiva. Così lo spettatore, nella sua bonaria ingenuità, pensa di avere il controllo delle informazioni che gli vengono proposte ma è molto più probabile che sia la sua attenzione ad essere controllata ed indirizzata da coloro che scrivono le scalette dei telegiornali, montano i servizi, gestiscono spazi e tempi delle interviste.

CONCLUSIONI

L’essere umano è produttore di cultura e innovazione nel momento in cui riesce ad impiegare la sua autenticità nel ricomporre le informazioni che assume da varie e diverse fonti. Leggere, approfondire le varie discipline della cultura generale, limitare l’uso dei “teleschermi”, avere diffidenza verso le semplificazioni, può aiutare a costruirsi una visione il più possibile ampia e proficua. Invito il lettore di questo mio post a fare un uso consapevole, e comunque limitato, in particolare della televisione, cosciente che ciò lo aiuterà a ridurre lo stress e a preservare la sua capacità critica.

Ⓒ Federico Milione

Dott. Federico Milione - Mindesigner
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