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"Una mente bella vive in un mondo bello"

PSICHE E UNIVERSO

Continuando il nostro viaggio nel mondo dei simboli dobbiamo valutare come psiche e universo abbiano un qualche collegamento che passa proprio attraverso alcuni simboli che Carl Gustav Jung definiva archetipici.

Siamo abituati a pensare che l’universo e la sua complessità, per non parlare della sua dimensione infinita, si trovino lontano da noi, magari nelle galassie, in luoghi sperduti in mezzo alle stelle. Viceversa dobbiamo immaginare che le leggi universali, che rappresentano una sorta di alfabeto, di codice complesso e misterioso che governa i mondi infiniti della natura, si trovano molto vicine a noi.

Tutto questo a cominciare, ad esempio, dalla natura nelle sue forme più semplici. Forse non immaginate che la geometria di un fiore, ma anche dei vegetali, piuttosto che delle dimensioni delle nostre parti anatomiche è scandita da precise leggi matematiche.

Già in questo possiamo cominciare a vedere un misterioso rapporto tra la nostra mente e le leggi profonde dell’universo. 

Se, Infatti, pensiamo al concetto di bellezza ci accorgiamo che, contrariamente al detto popolare, la bellezza non è un fatto esclusivamente soggettivo. Ci sono delle cose che vengono universalmente considerate belle. Chi, ad esempio, potrebbe dire che le forme della natura, come per esempio i fiori, non sono belle? C’è da chiedersi perché la specie umana considera belle alcune cose in modo universale.

Fin dall’antichità si è studiata la bellezza come rapporto geometrico. Il “rapporto aureo” tra le parti di un tutto era noto agli architetti dell’antichità: alcune importanti costruzioni, come ad esempio il Partenone, nonché moltissime opere d’arte, sono costruite tenendo presente un preciso rapporto dimensionale delle varie parti. Questo rapporto è stato individuato in un valore numerico: ჶ ovvero 1,618.

Nel 1170 Leonardo Pisano, detto Fibonacci, studiò una serie numerica nella quale ciascun numero rappresenta la somma dei due precedenti: 0,1,1,2,3,5,8,13,21,34,55,89, eccetera. 

La cosa più interessante, ed anche più misteriosa, è che salendo nella scala numerica il rapporto tra un numero e il suo precedente si avvicina sempre di più al valore di 1,618, ovvero il “rapporto aureo” che definisce, fin dall’antichità, un canone di bellezza universale. Diciamo universale poiché ciò che viene ritenuto bello non è frutto di una convenzione, quanto piuttosto di una inclinazione istintiva a ritenere bello quel qualche cosa.

La fillotassi studia la disposizione delle foglie nei vegetali: si è scoperto che la disposizione delle foglie in un albero o in una pianta non è casuale ma dopo un certo numero di “giri” intorno alla pianta una foglia si sovrappone ad una precedente. Il numero dei giri corrisponde ad uno dei numeri di Fibonacci, a seconda della pianta. La stessa cosa può essere vista nei fiori e in altre forme della natura, come ad esempio nel guscio delle lumache. In particolare quest’ultimo è costruito a spirale. Non si tratta però di una spirale logaritmica, cioè comune, ma di una spirale aurea, cioè una spirale il cui fattore di accrescimento equivale ancora una volta a 1,618. 

Non vi stupirete, a questo punto, se diciamo che anche i miliardi di stelle che costituiscono i bracci delle galassie sono disposte secondo una spirale aurea.

Appare quindi evidente come la psiche abbia una sorta di percezione istintuale verso elementi universali che ci mettono in comunicazione con l’infinito. Lo abbiamo visto in rapporto alla percezione della bellezza, ma volendo possiamo andare oltre.

Come dicevamo in precedenza alcune forme geometriche rappresentate nel corso dei secoli e attraverso innumerevoli contesti culturali, sono sempre le stesse. Il mandala, cioè il cerchio, ne è un esempio perfetto. Nel corso dei secoli la psicologia ha studiato in modo approfondito questo mistero e uno dei più importanti psicologi mai vissuti, Carl Gustav Jung, ha elaborato una complessa teoria, detta teoria degli archetipi.

Jung, come Freud, riteneva che esistano dei contenuti mentali che si trovano al di fuori della coscienza. Si tratta del famoso inconscio

Prima di Freud e di Jung il concetto di inconscio non esisteva e si riteneva che la vita psicologica coincidesse con la dimensione cosciente. Questo nuovo punto di vista, invece, mette in evidenza come ciò che avviene nella coscienza non sia unicamente frutto dell’interazione dell’Io con il mondo esterno, ma anche dell’interazione con un mondo interiore, profondo, sconosciuto e potenzialmente infinito.

Ed è proprio su quest’ultima parola che ci dobbiamo concentrare. Secondo Jung l’inconscio è di due tipi: una parte appartiene all’individuo. Questo inconscio “personale” è costituito da una serie di esperienze e pensieri che sono state, in una qualche fase della vita, coscienti e che poi sono state “rimosse” per motivi legati alla storia di quell’individuo. Secondo Jung esiste però un’altra parte di inconscio che non appartiene alla storia evolutiva dell’individuo, ma appartiene ad una sorta di dimensione universale: si tratta dell’inconscio collettivo o archetipico.

Semplificando possiamo dire che, secondo Jung, la persona avrebbe accesso a queste dimensioni inconsce universali nel momento in cui le mette in collegamento con la propria esperienza individuale. Questo processo avviene, ad esempio, nel sogno e sarebbe una sorta di risorsa profonda che mette in collegamento la persona con tutto il resto degli esseri umani e dell’universo.

La traduzione in termini culturali degli archetipi sono i miti e le fiabe. Questo non significa però che si possa dare una spiegazione o una descrizione degli archetipi. Semplicemente questi vengono rappresentati nelle fiabe dato che la fiaba, soprattutto sul piano emotivo, resta un fatto individuale. Proprio questa connessione tra l’individuale e l’universale rappresenta l’elemento più peculiare degli archetipi.

ⒸFederico Milione

Dott. Federico Milione - Mindesigner
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